Sito ufficiale del comitato Amici della Civica Orchestra di Fiati del Comune di Milano

Dal 1996 al 2007

I Fiati 1996
Data Pubblicazione: 05-10-2009

Intervista a Lorenzo Della Fonte, direttore della Civica Orchestra di Fiati del Comune di Milano

Lei è direttore dell'unica banda professionista non militare in Italia.
Ci può raccontare come è nata la Civica Orchestra di Fiati del Comune di Milano?
Questa formazione è nata nel 1859 come Banda della Guardia Nazionale, dopo varie vicessitudini e cambiamenti, nel 1972 il Comune di Milano ne definì lo status di orchestra professionale trasformandone poi il nome, nel 1986 da "Civica Banda" a "Civica Orchestra di Fiati", volendo rimarcare con questo il passaggio a un tipo di attività più concertistica.
Quali sono le caratteristiche che la distinguono dalle altre formazioni?
E' l'unica banda professionale attualmente operante in Italia con le eccezioni delle bande militari e soprattutto è in grado, a differenza delle altre formazioni, di produrre un elevato numero di programmi da concerto all'anno, in questo avvicinandosi alle orchestre sinfoniche che hanno una o più stagioni di concerti.
Cosa è cambiato con il suo arrivo?
Certamente il tipo di repertorio.
La Civica Orchestra di Fiati del Comune di Milano, prima del 1993, era ancora piuttosto orientata verso la letteratura di tradizione, per lo più trascrizioni da opere, balletti, sinfonie.
L'esigenza di passare a un repertorio di musica originale era comunque sentita dagli stessi componenti dell'orchestra, ai quali il mio programma di rinnovamento è sembrato subito interessante.
Devo dire che il salto non è stato proprio graduale: l'Orchestra, nel 1994 e nel 1995, ha eseguito oltre ottanta nuove composizioni appartenenti alla vasta letteratura originale per fiati di livello professionale.
Un'altra novità, anch'essa molto importante, è stata l'arrivo dei direttori ospiti per la prima volta nella sua storia.
L'Orchestra ha alternato concerti con il direttore stabile a quelli diretti dagli ospiti.
Sono così passati da noi personaggi che hanno fatto o stanno facendo la storia della musica bandistica in Italia e nel mondo, dando subito alla Banda una dimensione internazionale e facendola crescere anche sul piano esecutivo.
In poco più di due anni abbiamo già avuto Johan de Meij dall'Olanda, Pablo Sanchez Torrella dalla Spagna, Franco Cesarini dalla Svizzera, Jan Van der Roost dal Belgio, Joseph Horowitz dalla Gran Bretagna, oltre agli italiani Carlo Pirola, Andrea Franceschelli, Maurizio Billi, Massimiliano Caldi; in autunno avremo Laszlo Marosi dall'Ungheria e Frank Battisti dagli Stati Uniti.
Come lavora con la sua formazione?
L'orchestra prova quattro giorni alla settimana, dal martedì al venerdì, generalmente cambiando repertorio ogni due settimane, qualche volta anche ogni settimana, in questo caso aiutata dall'eccellente livello degli strumentisti.
Personalmente sto lavorando sulla precisione dell'insieme, sull'intonazione e sul suono, mentre avevo già potuto riscontrare un buon livello per quanto riguarda la musicalità e l'espressività; del resto sono proprio queste le caratteristiche principali dei musicisti italiani.
Qual'è l'organico?
L'organico è quello ormai standardizzato come symphonic band (con 55-60 esecutori), molto agile ed eclettico, privo della famiglia dei flicorni (solo il soprano in qualche partitura) e con solo dodici clarinetti.
Abbiamo l'arpa, 5/6 percussionisti e il contrabbasso a corde.
Non si tratta di esterofilia o di disamore verso la tradizione italiana, ma di una scelta obbligata per chi voglia mettersi al passo con le grandi formazioni europee, americane e giapponesi.
Che repertorio eseguite?
Prevalentemente opere originali tratte dalle letteratura storica (da Mendelsshon fino a Stravinskij, passando per Holst, Vaughan Williams, Milhaud) o contemporanea (Schönberg, Hindemith, Husa, Reed, Scuman, Dello Ioio, Grainger, Persichetti).
In un recente concerto, in collaborazione con l'Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, abbiamo eseguito anche brani commissionati per l'occasione a compositori provenienti dal mondo accademico quali Arcà, Boccadoro. Einaudi.
Questo non ci fa dimenticare le trascrizioni della grande musica sinfonico-operistica (circa un 20% del repertorio); ma cerco sempre di selezionare strumentazioni nuove e di alto valore.
Lei dirige anche altre formazioni all'estero; che differenze trova con le bande italiane?
Come ho detto prima le bande italiane (non è il solito luogo comune) sono più calde ed espressive; il suono dei clarinetti poi è pressoché unico al mondo.
Le bande americane hanno degli ottimi ottoni (anche questa non è una novità), sono certamente più aperte a qualsiasi tipo di musica e sempre seriamente motivate.
Quelle nord europee (Olanda e Belgio) sono forse le più complete, mentre le giapponesi sono mostruose a livello tecnico, per la precisione e l'intonazione, ma ancora poco espressive, ad eccezione di quando suonano sotto la guida di direttori che invece lo siano, allora cambiano subito.
Infine ci sono le bande spagnole, che uniscono il calore all'impegno tecnico-esecutivo.
Dirige anche al di fuori dell'ambito dei fiati?
Nonostante abbia frequentato l'orchestra sinfonica e i suoi direttori, per ampliare le mie esperienze, mi sento più decisamente orientato verso i fiati, che sono la mia passione.
Pensa che un direttore debba specializzarsi nel repertorio bandistico oppure aprire i suoi orizzonti anche alle formazioni classiche?
Credo che l'esperienza con altre formazioni sia molto importante, anche se oggi la specializzazione spinge ad essere sempre più competenti su campi ristretti.
Adesso vedo però una maggiore attenzione dei direttori "classici" al mondo delle bande, anche se mi sembra che questa sia un po' tardiva e legata ai miglioramenti tecnico artistici che si sono avuti negli ultimi anni.
Non sono certo completamente dimenticati i tempi in cui i direttori d'orchestra si riferivano alla banda per esemplificare una cattiva qualità musicale.
Il lavoro con la sua orchestra è d'aiuto quando poi si trova davanti altre formazioni?
Nel campo delle bande ogni orchestra è un caso a sé.
Non è possibile trattare con i dilettanti come con i professionisti, ed anche tra i dilettanti i livelli sono i più disparati.
Un buon direttore di banda, soprattutto oggi, in Italia, dovrebbe cercare di ampliare le sue esperienze proprio per non credere che tutti i complessi siano come quello che dirige, e saper mettere in evidenza i pregi di ciascun gruppo.
Purtroppo vi sono molti direttori che credono che il loro lavoro sia quello di scovare i difetti degli strumentisti, e molti strumentisti che credono che il direttore sia lì solo per trovare i loro errori.
E' una questione di rapporti sbagliati che nasce già negli anni dello studio in Conservatorio e che poi non si riesce a superare.
Parliamo ora della sua attività di presidente italiano della WASBE.
Come è nata questa associazione?

La WASBE (World Association for Symphonic Bands and Ensembles) è nata in Inghilterra nel 1981 da un'idea del direttore americano Frank Battisti, il quale voleva un'associazione bandistica di livello mondiale.
Oggi conta oltre mille associati in ogni parte del mondo e si occupa prevalentemente di scambi di informazioni, stages e aggiornamenti, contratti internazionali.
Quali sono gli scopi della WASBE?
Ono diversi: l'aggregazione di musicisti con interessi comuni, la promozione di gruppi di fiati come validi mezzi di espressione musicale, il riconoscimento dell'importanza delle bande come scambio culturale tra le nazioni, l'incoraggiamento a comporre brani originali che riflettano le caratteristiche dei propri Paesi.
Inoltre ogni due anni vi è una Conferenza Internazionale con stages, concerti e conferenze; la prossima si terrà a Schladming in Austria nel 1997.
Ci può dare un quadro della situazione bandistica in Italia?
Si sta evolvendo con una rapidità impressionante.
Ovunque si organizzano concorsi, corsi, si moltiplicano le "orchestre di fiati" intese come organici regionali con musicisti selezionati, si tengono dibattiti e assemblee.
Tutti sanno che c'è un vuoto da colmare di circa venti-trenta anni rispetto alle nazioni più evolute, ma la confusione creata dalla mancanza di coordinamento rischia di vanificare parte degli sforzi.
Così da una parte abbiamo le orchestre di alto livello che ormai ben figurano in ambiti internazionali (cosa impensabile fino a qualche anno fa), e dall'altra le centinaia di piccole bande il cui problema artistico resta spesso quello della scarsa preparazione specifica dei loro direttori.
La sezione italiana della WASBE, forte dell'esperienza fatta fuori d'Italia, dovrebbe essere di stimolo e di coordinamento per tutto questo, ma spesso le rivalità tra operatori fanno in modo che ogni manifestazione rimanga slegata dalle altre, se non addirittura in contrasto.
Prendendo ad esempio i concorsi, solo alcuni di questi (Riva del Garda, Brescia e Condove) hanno una effettiva collaborazione con la WASBE, motivo di crescita per entrambi, mentre altri la ignorano completamente.
Cosa pensa che si possa fare per rivalutare la tradizione italiana del passato?
La tradizione del passato non è solo italiana.
Le altre nazioni hanno tutte avuto il momento della trascrizione, dell'opera, dell'organico mastodontico.
Gli Stati Uniti all'inizio del secolo, l'Olanda negli anni quaranta e cinquanta, la Spagna lo sta superando adesso.
Poi è passato, più per ragioni pratiche che artistiche ed è nato un nuovo organico che forse ha un futuro più certo.
Noi abbiamo le grandi bande militari che mantengono la strumentazione vesselliana e questo probabilmente basta a non far morire la nostra tradizione, mentre anche al sud le cose cominciano a cambiare, se pur lentamente.
Del resto, dopo aver viaggiato dall'Europa agli USA e al Giappone, credo di poter dire che la situazione italiana all'estero non interessi più di tanto o non vada comunque al di là del puro elemento del folklore.
Se si pensa che il brano originale di autore italiano più eseguito all'estero (Huntingtower di Respighi) ha avuto fin dal suo apparire, un'orchestrazione per symphonic band, si vede come il nostro organico non abbia mai interessato realmente.
Diverso è il discorso della musica classica italiana (le ouvertures di Rossini, di Verdi, ma anche i poemi sinfonici di Respighi che in Giappone stanno avendo uno straordinario successo), che oggi sta finalmente riscoprendo con nuove trascrizioni per l'organico attuale, più leggere, più "sinfoniche", decisamente più rispettose dell'originale e quindi più corrette.
In che rapporti è l'Italia bandistica con il resto del mondo?
Dappertutto arrivano attestazioni di stima e consensi per il lavoro che si sta facendo in Italia.
Gli esperti internazionali sanno che stiamo attraversando un delicato momento di transizione e guardano allo sviluppo bandistico italiano con grande attenzione.
Lei è anche compositore.
L'attività di direttore della Civica Orchestra di Fiati influenza il suo modo di comporre?
No. Di solito penso prima alla musica e poi all'organico che dovrà eseguirla.
Che tipo di difficoltà si incontrano nel proporre in Italia un nuovo e originale repertorio bandistico?
Grandi difficoltà. La colonizzazione delle grandi case editrici nord europee ha portato alcuni compositori italiani ad imitare i prodotti più banali di queste, stimolati dagli editori -che ovviamente devono avere un utile- al solo scopo di vendere con sicurezza.
Così si spaccia per "repertorio originale per banda" ciò che è invece musica di consumo adattata.
A questo contribuisce spesso la scarsa conoscenza della letteratura storica della banda, le Suites di Holst, L'ouverture op.24 di Mendelssohn, la splendida Trauersinfonie di Wagner, sono certo meno conosciute dal pubblico che non i grandi successi delle "major" olandesi ma, non essendo complicatissime da eseguire, costituirebbero il primo gradino verso un viaggio coscente nel repertorio e nella sua evoluzione.
Il direttore di banda medio cerca invece ciò che è facile da orchestrare, facile da capire, facile da far ascoltare, e l'editore è ben felice di accontentarlo.
Così vediamo molti programmi di concerto pieni di brani uguali a se stessi, che seguono i dettami della moda del momento.
Non vi è una vera e propria ricerca qualitativa e, di conseguenza, non vi è una richiesta commerciale di brani significativi.
Nonostante ciò, vedo che i compositori più appassionati non rinunciano a proporre musica più originale, meno standardizzata, e forse verrà anche il momento della rinascita, come fu per gli Stati Uniti a partire dagli anni quaranta.
Bisogna anche dire, però, che il pubblico che segue la banda è un po' particolare; in genere non va al concerto per sentire "la musica" ma per sentire "la banda", e il direttore si comporta di conseguenza, preoccupandosi più per il livello della sua esecuzione che per la qualità delle musiche proposte.
Così sceglie i brani in base alle possibilità di riuscita piuttosto che alla validità artistica.
Se ci si pensa, per l'orchestra sinfonica è di solito l'opposto; il pubblico va al concerto per gustare una sinfonia di Mozart piuttosto che di Mahler, prima che per apprezzarne l'esecuzione.
Come reagisce il pubblico al repertorio originale per banda?
Un interessante sondaggio, fatto durante i concerti della Civica di Milano, ha dimostrato, con grande sorpresa, che oltre l'ottanta per cento del pubblico approva e apprezza le scelte più difficili, persino nella fascia di età più avanzata.
E' davvero passato il tempo in cui si diceva che la banda è obbligata a suonare solo un certo repertorio!
Pensa che, così come in passato, la banda possa essere un veicolo per facilitare la diffusione della musica contemporanea?
La banda sta conoscendo un periodo di grande cambiamento, sta passando dal gruppo musicale di tradizione, che per anni aveva interpretato un ruolo di difesa di valori consolidati, ad una realtà che si spinge avanti nella direzione della "nuova" musica bandistica.
Quella cioè che vive per se stessa, scritta solo per l'orchestra di fiati, quella che imita l'orchestra nel suo organico ma ne acquisisce il linguaggio, talora sperimentale, talora più conservatore, spesso comunque innovativo.
Ed è l'unica, la banda, a realizzare oggi quella accettazione di un repertorio contemporaneo che possa essere compreso e amato anche dal grande pubblico; ciò che ha potuto fare l'orchestra sinfonica solo parzialmente, riesce in pieno all'orchestra di fiati, forse proprio grazie alla lunga e ben salda unione tra questo ensemble e la gente "comune".

di Susanna Persichilli


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